TRACCIARE LA MEMORIA
di Kevin McManus
Il giovane
percorso artistico di Adua Martina Rosarno si è finora articolato attorno a due
pratiche vicine come suono e poeticamente connesse a livello di senso, quella
del tracciare e quella dell’intrecciare. Se la seconda ha a che
fare, naturalmente, con gli eleganti interventi tessili che caratterizzano le
sue opere, la prima costituisce il principio fondamentale della loro concezione
formale.
Il tracciato è legato quasi sempre a suggestioni specifiche a paesaggi
interiorizzati, a mappature di itinerari personali, che in quanto tali non sono
immediatamente leggibili e non si prestano a una decodifica da parte
dell’osservatore; esso si presenta dunque come un archetipo, appunto, del
paesaggio, della mappa, del gesto del tracciare come testimonianza di una
presenza e di un’esperienza fisica trasfigurate dal dispositivo visuale della
memoria.
All’interno
di questo modus operandi, l’uso della tessitura svolge una doppia
funzione: da un lato l’aggiunta di una dimensione materiale che complica la
bidimensionalità della tela rende presente al tatto questo tracciare, quasi
come un’eco del viaggio o dell’esperienza ricordata. Dall’altro l’atto stesso
del tessere, nella sua squisita manualità, diventa una sorta di rituale nel
quale la mano si esercita a ripercorrere le strade riconsegnate dalla memoria.
Frammentarie topografie di un ricordo: LIMBADI, lavoro di raffinata
complessità formale, presenta una serie di ricordi particolari, tutti legati
alla località in cui l’artista ha trascorso i primi anni di vita. I tre
“tracciati intrecciati” presentano una mappa vera e propria, quella appunto del
comune di Limbadi, e una mappa più personale, una sorta di zoom sulle strade
percorse dalla piccola Adua e sulla zona da lei frequentata, e una veduta della
chiesa della B.V.M. del Carmelo, monumento simbolo del paese e oggetto, in
passato, di un’appassionata lotta per la conservazione di fronte alla minaccia
di demolizione.
Convivono
dunque una rappresentazione oggettiva ed esterna, puramente funzionale; una
mappatura del ricordo individuale e intima; e un emblema dell’identità di un luogo.
Abbiamo pertanto due tracciati di leggibilità condivisa (uno da tutti gli
ipotetici utenti di una cartina geografica, l’altro da una comunità più
ristretta che si identifica con il luogo) intervallati da una mappatura
dell’anima, risolta nel rapporto esclusivo tra artista e opera.
L’intrecciarsi di questi itinerari non è solo metaforica, ma anche letterale,
con le diverse superfici corrispondenti a diversi tessuti che vanno a
sovrapporsi vicendevolmente in una composizione a griglia; questo formato,
tipico dell’astrazione modernista e – poi – dell’impulso classificatorio di
marca concettuale, viene qui ammorbidito, rimesso in discussione
dall’instabilità dei contorni del tessuto, dall’irregolarità delle forme, dalla
sollecitazione tattile esercitata dalla superficie.
In questo intreccio di memorie e di tracciati, un ruolo fondamentale è svolto dalla frammentazione delle tre rappresentazioni. Se è vero che ciascuna di esse, nella sua integrità, può essere decodificata da un lettore differente, la scelta di intersecare diversi riquadri in questa griglia, spezzando la continuità dei disegni, finisce per contraddire il processo di decodificazione, spostando il rapporto fra le tre aree sul piano delle analogie e delle differenze formali, delle discontinuità e delle occasionali, casuali continuità tra un piano e l’altro: il profilo della chiesa che prosegue il tracciato della strada principale del paese, la linea tortuosa di una stradina che completa il contorno del campanile, due strade appartenenti ad aree diverse della cartina che si congiungono in un’inattesa simmetria.
Al tempo stesso, sono i tre diversi tessuti-sfondo a fondersi in una pluralità di dimensioni, diventando l’uno il cielo, o la nube, dell’altro; ovviamente evidente in corrispondenza dell’azzurro della zona-chiesa, questo fenomeno porta anche a poetiche sovrapposizioni, laddove una linea interrotta prosegue, come se attutita da una sordina, nello spazio sottostante a una delle sovrapposizioni. In questa molteplicità di stimoli tattili e visivi, la memoria sopravvive non come racconto singolo e letterale, ma come archetipo del ricordare, tessendo il filo che traccia l’impronta di un’esperienza del luogo.